La seconda conferenza della Society for Acquired Resilience si è svolta dal 27 al 29 settembre a Sydney.
La Society for Acquired Resilience (Resilienza Acquisita) è un’associazione scientifica che ricerca percorsi terapeutici che aumentino la resilienza nei pazienti e ne valuta la validità dal punto di vista clinico, anatomico, fisiologico, cellulare e molecolare.
Il tema della resilienza acquisita è stato affrontato da ricercatori di molti paesi – presenti a Sydney o connessi online – da punti di vista multidisciplinari, dalle neuroscienze al microbioma intestinale.
Durante i tre giorni sono state esplorate diverse modalità per aumentare la resilienza dei tessuti come l’ormesi, la fitoterapia, la fotobiomodulazione, gli ultrasuoni e l’esercizio fisico.
In diversi interventi si è parlato di resilienza in relazione alla salute della vista.
Silvia Bisti, vicepresidente della Società e Responsabile per l’Europa – nonché consulente scientifico Hortus Novus – ha presentato un lavoro dal titolo “Fitoterapia e resilienza: lezione dallo studio dello zafferano”.
La fitoterapia è stata per millenni l’unico modo per far fronte alle malattie umane e le cure si basavano su eventi aneddotici ed esperienze personali. Negli ultimi anni sempre più attenzione è stata dedicata alla comprensione dell’applicazione, dei meccanismi d’azione e delle basi chimiche di molti prodotti naturali. È interessante notare che molta attenzione è stata concentrata su singole molecole interessanti che si trovano nelle piante, piuttosto che sulla composizione totale. La possibilità che il rapporto tra i componenti chimici possa essere il punto rilevante non è mai stata presa in considerazione. A questo proposito, la storia dello zafferano potrebbe aprire un nuovo modo per valutare l’efficacia terapeutica dei composti naturali. Sono stati ottenuti molti dati sul trattamento con zafferano delle malattie neurodegenerative, sia in vivo nei pazienti che in modelli animali e in vitro.
Molti punti sono stati chiariti, ma molte domande restano da affrontare. Il risultato più rilevante è che per studiare i composti naturali da applicare alla salute umana è necessario un approccio multidisciplinare ben coordinato.
Nella sua presentazione la dott.ssa Bisti ha riassunto tutti i passi seguiti e le idee sviluppate in oltre 15 anni di ricerca e collaborazioni forti:
– le prime prove con lo zafferano di L’Aquila su modelli animali;
– la comprensione che gli zafferani non erano tutti uguali e lo studio sistematico di tutti gli zafferani da diversi cultivar;
– l’approfondimento sulla composizione chimica dei diversi zafferani con il dipartimento di chimica dell’Università dell’Aquila;
– le sperimentazioni cliniche su maculopatia e Stargardt con il Policlinico Gemelli;
– lo studio DNA-RNA con l’Università di Sidney;
– estensione del test dello zafferano nei processi neurodegenerativi con l’Università di Pisa e Firenze e, a livello di singolo recettore, con il CNR di Genova;
– test chimici sempre più sofisticati con il CNR di Milano e l’Università degli studi di Napoli Federico II.
Alla Conferenza erano presenti anche alcuni dei collaboratori di lunga data.
In particolare, la Dott.ssa Ilaria Piano (allieva della Prof. Gargini), dell’Università di Pisa, ha parlato di “Funzione visiva per diagnosticare e monitorare i processi neurodegenerativi centrali e valutare il potenziale dei trattamenti neuroprotettivi”.
Un meccanismo condiviso dalla maggior parte delle malattie neurodegenerative è la neuroinfiammazione cronica che si manifesta nella malattia e che contribuisce ad accelerarne la progressione. Una delle parti più accessibili e sensibili del sistema nervoso centrale, utile per monitorare lo stato infiammatorio nel SNC, è la retina. Ad esempio, nella malattia di Alzheimer, dove si stabilisce un meccanismo neuroinfiammatorio, è stato dimostrato un legame tra deterioramento cognitivo e funzione retinica, confermando il ruolo essenziale della retina come finestra sul cervello.
La Dott.ssa Piano mostra, valutando la funzione retinica, l’efficacia protettiva del trattamento cronico con zafferano “Repron” in un modello murino di malattia neurodegenerativa indotta da LPS. I dati funzionali ottenuti dalle registrazioni dell’elettroretinogramma (ERG) sono stati confermati con test sull’espressione di geni legati all’infiammazione e regolati dal trattamento con Repron. Lo stesso risultato è stato ottenuto anche nel caso della valutazione dei livelli proteici che seguono l’andamento della regolazione genica. Questi risultati sono validi per il tessuto retinico e parzialmente a livello corticale ma non sono riproducibili a livello dell’ippocampo, dove sembra che l’insorgenza del danno sia ritardata. Questa tendenza consente di concludere che la retina rappresenta la porzione del sistema nervoso centrale più sensibile al danno neuroinfiammatorio indotto da LPS e potrebbe essere utilizzata come “sensore” precoce nelle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.
D’altra parte, nelle malattie della retina, un’importante strategia per preservare le funzioni visive è contrastare i meccanismi che sono comuni a tutte le forme delle malattie degenerative retiniche ereditarie (IRD) e che guidano la progressione della patologia, come la neuroinfiammazione. Nella sua presentazione mostra che, anche, negli IRD come la Retinite Pigmentosa (RP) i composti naturali sono efficaci per contrastare l’infiammazione. In particolare, lo zafferano “Repron” che si è dimostrato efficace nei pazienti con AMD e Stargardt, così come in modelli preclinici di degenerazione indotta dalla luce, ha dato risultati molto promettenti in un modello animale di RP (topi rd10), suggerendo che il trattamento sia stato in grado di rallentare anche la degenerazione dei bastoncelli dovuta ad una mutazione genetica.
Il Dott. Stefano Di Marco, dell’Istituto Italiano di Tecnologia, ha invece parlato di “Nutra-prostesi: aumentare la resilienza del sistema per impiantare con successo protesi retiniche altamente tecnologiche “.
Le degenerazioni dei fotorecettori sono eventi eterogenei e, sfortunatamente, un ampio gruppo di patologie causa irreversibilmente la morte dei fotorecettori, portando, in una fase avanzata, alla cecità legale. Al giorno d’oggi, ci sono poche strategie terapeutiche promettenti che, sfortunatamente, potrebbero essere benefiche solo per particolari degenerazioni causate da un minuscolo sottoinsieme di mutazioni genetiche. Per il resto non è disponibile alcuna cura, anche se è possibile rallentare i processi degenerativi. L’ultima strategia disponibile è la sostituzione. Gli approcci sostitutivi, per avere successo, devono basarsi sull’integrità della rete retinica e idealmente dovrebbero integrarsi con il tessuto con una risposta infiammatoria minima/nulla. La nutraceutica si è affermata, negli ultimi anni, come una nuova frontiera per il trattamento di diverse patologie. In particolare, nel 2004, il laboratorio dell’Università dell’Aquila ha dimostrato che lo zafferano può mitigare, rallentando la degenerazione dei fotorecettori. Con il tempo, hanno scoperto che lo zafferano dovrebbe contenere particolari rapporti dei suoi componenti per essere efficaci sulle neurodegenerazioni e che la sua potenzialità, rispetto ai farmaci monocomponenti, è che l’azione terapeutica coinvolge contemporaneamente più vie metaboliche e bersagli in maniera integrata. Lo zafferano, quindi, può aumentare la resilienza del tessuto retinico, diventando uno strumento promettente se preventivamente associato ad approcci sostitutivi. Inoltre, è possibile associare o legare in modo covalente molecole biologicamente attive naturali con la protesi attualmente disponibile per ottenere una biocompatibilità ed efficacia senza precedenti. Questo nuovo campo della scienza applicativa dovrebbe chiamarsi Nutra-prostetica.