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Nei giorni 9-11 marzo a Sydney (Australia) si sono svolti i lavori congressuali della Società di “Aquired Resilience” (Resilienza Acquisita). La società è stata fondata con lo scopo di valutare le basi scientifiche e quindi la validità di selezionati percorsi terapeutici, che si sono dimostrati efficaci nell’indurre una risposta positiva a patologie sia indotte in modelli “in vivo “ e “in vitro” che in pazienti. Il risultato finale del trattamento deve essere quello di aumentare la resilienza e la capacità di ristabilire uno stato di equilibrio vicino o uguale a quello fisiologico. In altre parole, esistono trattamenti terapeutici che hanno la capacità di aumentare “in toto” le autodifese dell’organismo, permettendogli di fronteggiare processi patologici anche gravi.

Andiamo per ordine… Che cosa s’intende con la parola “resilienza”?

Per un metallo la resilienza rappresenta il contrario della fragilità. Mentre, in campo psicologico, la persona resiliente è l’opposto di una facilmente vulnerabile.

Di fatto, l’individuo resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili: è un ottimista e tende a “leggere” gli eventi negativi come momentanei e circoscritti; ritiene di possedere un ampio margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda; è motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; tende a vedere i cambiamenti come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia; di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere, comunque, la speranza.

In senso più ampio la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento e si manifesta nel suo ritornare a uno stato di equilibrio in seguito ad un evento perturbante.

La resilienza è in altri termini la capacità di auto-ripararsi dopo un danno. Ma di resilienza si può parlare anche in risposta a problemi patologici  di varia natura e gravità. La società di “Acquired Resilience” ha come scopo la ricerca di percorsi terapeutici che aumentino la resilienza nei pazienti e di studiarne la validità da un punto di vista anatomico, fisiologico, cellulare e molecolare.

Tra le possibili strategie che sembrano indurre resilienza si va dalla “starvation” (basso apporto energetico) all’esercizio fisico, all’utilizzo di luce di particolari lunghezze d’onda (fotobiomodulazione), all’estratto di cordone ombelicale (CBS), fino al trattamento con zafferano.  Per ognuno di questi temi sono state presentate evidenze scientifiche ottenute in modelli “in vivo”, “in vitro” e, in certi casi (come per lo zafferano e la fotobiomodulazione), in trial clinici su pazienti con patologie selezionate.  Tra gli altri temi affrontati c’è stato il problema dell’invecchiamento che, aumentando progressivamente eventi dis-metabolici, riduce la resistenza del soggetto di fronte ad eventi stressanti: in questi soggetti è possibile e necessario aumentare la resilienza per permettere di fronteggiare con maggior successo i processi degenerativi la cui probabilità d’insorgenza aumenta con l’età.

Tra i relatori:

Silvia Bisti, Professore ordinario di Fisiologia (IIT, Genova; INBB Roma e referente scientifico di Hortus Novus): Saffron in neurodegenerative diseases: multiple ways of action but unique chemical profile (Lo zafferano nelle malattie neurodegenerative: molteplici vie d’azione attivate da un preciso profilo chimico).

Benedetto Falsini, Professore di Oftalmologia (Università Cattolica e Policnico A. Gemelli di Roma): Acquired resilience in human retinal neurodegenerative disorders: effects of Saffron supplementation (Resilienza acquisita nei disturbi neurodegenerativi della retina umana: effetti del trattamento con zafferano).

Entrambi gli interventi sono stati molto apprezzati. Silvia Bisti è stata nominata Vicepresidente della società, responsabile per l’Europa. Congratulazioni e buon lavoro!

Consulta il programma della Conferenza, con abstract degli interventi: Program AR2020 A5 booklet

 

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